Il femminismo ha distrutto l’Impero Romano? Un’analisi

Riportiamo un’interessante analisi ad opera del fu Indro Montanelli, giornalista, saggista e storiografo italiano, che compara la società antica dell’Impero Romano a quella odierna, evidenziando alcuni passaggi fondamentali e l’impatto sulla storia.

La civilità romana non fu abbattuta dai barbari ma rosa dai suoi mali interni.

Le eccessive ricchezze conquistate portarono al degrado morale: corruzione, aborti, femminismo, sfascio della famiglia, guerre civili, templi vuoti. Fino alla rinascita di una nuova religione. Interessante rileggere la ‘Storia di Roma’ di Indro Montanelli pensando alla parabola attuale della nostra civiltà.

Così Montanelli descrive la vita nella piccola Roma repubblicana che stava costruendo una grande civiltà: “I cittadini ci vissero più scomodi e sacrificati, ma anche più ordinati e sani di quelli dell’Impero. […] Teoricamente il divorzio esisteva. Ma il primo di cui abbiamo notizia avvenne due secoli e mezzo dopo la fondazione della repubblica”.

Secoli dopo, nel 195 aC, le donne entrano per la prima volta nella vita politica per chiedere l’abrogazione della legge Oppia, che imponeva austerità per far fronte alla prima guerra punica. Marco Porcio Catone tenta di opporsi: “la prepotenza femminile, dopo aver annullato la nostra libertà d’azione in famiglia, ce la sta distruggendo anche nel Foro. Ricordatevi quanto abbiamo penato nel tenere in pugno le nostre donne e frenarne la licenza, quando le leggi ci consentivano di farlo. E immaginatevi cosa succederà se queste leggi saranno revocate e le donne saranno poste, anche legalmente, su un piede di parità con noi. Voi le conoscete le donne: fatevele vostre eguali, e immediatamente ve le ritroverete sul gobbo come padrone”.

Roma vince le guerre puniche e viene sommersa dal bottino di guerra dei paesi vinti, e Catone può solo denunciarne la decadenza morale: “questa città non è più che un agenzia di matrimoni politici corretti dalle corna”. “Clodia, la moglie di Quinto Cecilio Metello, era a quei tempi la ‘prima signora’ della citta`. Essa era femminista […] affermava il diritto alla poligamia anche per le donne e lo praticò senza risparmio, prendendosi amanti a dozzine. […] Con questi esempi dinanzi agli occhi era difficile alle ragazze trasformarsi in buone madri di famiglia. […] Figli non ne volevano perchè sarebbero stati un impaccio.”

La repubblica Romana annega nella corruzione e Cesare riesce a trasformarla in una monarchia, di cui di fatto diventa Imperatore: “Cesare aveva capito che non c’è più nulla da sperare dai romani di Roma, oramai ammolliti, imbastarditi, ed incapaci di fornire altro che degli intrallazzatori e dei disertori. Egli sapeva che il buono era solo in provincia, dove la famiglia era rimasta salda, i costumi sani, l’educazione severa”.

All’anno zero la Roma imperiale è all’apice del sua potenza sotto Augusto, ma oramai “Il matrimonio, che nell’età stoica era stato un sacramento e lo ridiventerà in quella cristiana, era ora una passeggera avventura; e l’allevamento dei figli […] era considerato una noia, un imbarazzo da evitare. L’aborto era una pratica comune. […] Seneca considerava fortunato il marito la cui moglie si accontentava di due amanti soli. […] Le “intellettuali” fiorivano. […] S’ingrassava.

I barbari ebbero ragione di questa Roma in decadenza: “Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. […] Quanto ai nemici esterni, Roma era abituata da mille anni ad averne, a combatterli, a vincerli. […] La crisi militare non era che il risultato di una più complessa decadenza, innanzi tutto biologica. Essa era cominciata dalle classi alte di Roma, con l’allentamento dei vincoli familiari ed il diffondersi delle pratiche malthusiane ed abortive.[…] La religione pagana era morta.”

Ma intanto una nuova religione lentamente conquistava nuovi adepti: “L’aborto e l’infanticidio furono aboliti ed esecrati dai cristiani in mezzo ad una società che sempre più li praticava e ne stava morendo. […] Un regime di vita ordinato e casalingo era la regola fondamentale. […] Non c’era, si può dire, città in cui il vescovo non fosse migliore del prefetto. […] Così, non più come centro politico di un Impero, ma come cervello direttivo della Cristianità, Roma si apparecchiò a ridiventare caput mundi”.

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